Settimana Mondiale della Tiroide dal 24 al 30 Maggio 2021

Con la pandemia è ancora più importante mantenere in buona salute la tiroide, rivolgendosi al proprio medico senza trascurare alcun campanello di allarme, spiega Luca Chiovato, Presidente Associazione Italiana della Tiroide (AIT) e coordinatore e responsabile scientifico della Settimana Mondiale della Tiroide. “Questa ghiandola svolge importanti funzioni per il nostro organismo come la regolazione del metabolismo, il controllo del ritmo cardiaco, la forza muscolare e il corretto funzionamento del sistema nervoso centrale e periferico. Per converso, la malattia da COVID-19 può alterare la funzione tiroidea creando ulteriori problemi diagnostici e terapeutici. Per questo il tema scelto per la Settimana Mondiale della Tiroide 2021 presentata oggi con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità, è ‘Tiroide e Pandemia da COVID’ per cercare di dare risposta alle domande delle persone con una malattia tiroidea e per individuare quali siano le patologie tiroidee che possano rendere il paziente più ‘fragile’ nei confronti della malattia da Sars-CoV2.

Il principale obiettivo della Settimana, che si svolge dal 24 al 30 Maggio, è sensibilizzare la popolazione in merito ai problemi connessi alle malattie della tiroide e alla loro prevenzione: sono infatti oltre sei milioni gli italiani che soffrono di un problema a carico di questa ghiandola così fondamentale per il buon funzionamento di tutto il nostro corpo.

La Settimana Mondiale della Tiroide 2021, è promossa dalle principali Società scientifiche endocrinologiche, mediche e chirurgiche:

  • Associazione Italiana della Tiroide – AIT (Luca Chiovato)
  • Società Italiana di Endocrinologia – SIE (Francesco Giorgino)
  • Associazione Medici Endocrinologi – AME (Franco Grimaldi)
  • Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica – SIEDP (Maria Cristina Vigone)
  • Associazione Italiana Medici Nucleari – AIMN (Maria Cristina Marzola)
  • Società Italiana Unitaria di Endocrino Chirurgia – SIUEC (Celestino Pio Lombardi)
  • Società Italiana di Gerontologia e Geriatria – SIGG (Fabio Monzani)
  • Comitato delle Associazioni dei Pazienti Endocrini – CAPE (Anna Maria Biancifiori)
  • European Thyroid Association – ETA (Francesco Frasca)
  • Associazione Basedowiani e Tiroidei (Emma Bernini)

Ciascun esponente di spicco ha fatto il punto della situazione dalla reciproca prospettiva.

Nei pazienti con morbo di Basedow affetti da esoftalmo, espressione di un marcato processo infiammatorio esteso anche all’orbita, la pandemia ha rappresentato un’ulteriore difficoltà in un percorso già ad ostacoli. I cortisonici ad alte dosi per via endovenosa rappresentano la terapia tipica in questi casi, ma possono vanificare l’effetto del vaccino, se questo è somministrato durante il ciclo terapeutico. Inoltre, la cura dell’ipertiroidismo nel morbo di Basedow richiede controlli clinici frequenti per aggiustare la terapia e questi, durante le fasi più critiche della pandemia, sono stati difficili da attuare, sia per l’impegno degli endocrinologi nell’emergenza COVID, sia per le difficoltà di accesso ai servizi ospedalieri. Per assicurare la cura dei pazienti si è fatto ricorso alla telemedicina nelle sue varie modalità e, talora, a schemi terapeutici, come quello basato sulla contemporanea somministrazione di farmaci anti-tiroidei ad alta dose e tiroxina, che consentono controlli clinici meno ravvicinati.

Per il paziente con orbitopatia di Basedow, molto fragile e spesso gravato da ritardi diagnostici e terapeutici, è particolarmente necessario il supporto di un team medico multidisciplinare (endocrinologo, oculista, radiologo-radioterapista, chirurgo orbitario, chirurgo plastico). In questi casi il danno (anche di gravità estrema), non è soltanto funzionale, ma, nei casi più gravi, la conseguente deformazione dei tratti del volto porta una dolorosa perdita di identità e la chirurgia “ricostruttiva” dello sguardo e del volto deve quindi essere considerata un irrinunciabile completamento della cura. È quindi auspicabile che il preannunciato potenziamento del SSN porti alla creazione di questi team multidisciplinari in un numero sempre maggiore di ospedali. La pandemia ci ha infatti insegnato come siano difficili i “viaggi della speranza” nei pochi centri specializzati spesso in regioni lontane.

La pandemia da COVID-19 ha sollevato ulteriori quesiti in relazione al trattamento dei pazienti con patologia oncologica tiroidea, soprattutto nei casi di tumori più aggressivi o avanzati, che richiedano farmaci di ultima generazione. In particolare, i pazienti in terapia con gli inibitori delle tirosin-kinasi (TKI), in caso di contagio da COVID-19, vanno considerati come fragili a tutti gli effetti ed a maggior rischio di esiti negativi, compresa la possibilità che l’infezione possa aggravare ulteriormente gli effetti collaterali della terapia con TKI.

Anche in questi casi, è richiesto un continuo monitoraggio clinico, biochimico e strumentale e la telemedicina è di grande supporto, per i motivi sopra menzionati ed anche per la possibilità di controllare gli effetti collaterali e l’aderenza alla terapia. Ai pazienti in trattamento attivo deve essere offerta la vaccinazione contro SARS-CoV2, che, quando possibile, deve essere eseguita prima che inizi la terapia oncologica.

La tiroidite di Hashimoto, pur essendo di natura autoimmune, non è una malattia sistemica e non richiede per il suo trattamento farmaci immunosoppressori; tali pazienti non sono pertanto esposti ad un più alto rischio di sviluppare una malattia grave da COVID-19. Questo vale, a patto che non siano concomitanti il diabete mellito di tipo 1 (la forma giovanile, insulino-dipendente) e la malattia di Addison, che compromette un asse endocrino, critico per la sopravvivenza in caso di malattie gravi intercorrenti (come è l’infezione da COVID-19). Tali pazienti, considerati veramente fragili, hanno giustamente la priorità per la vaccinazione (formulazioni a RNA, che assicurano una maggiore protezione). Salvo i casi associati a patologie autoimmuni più gravi o sistemiche (come anche il Lupus), non sussiste alcun valido motivo per ritenere fragili nei confronti della malattia da COVID-19 i pazienti affetti da tiroidite di Hashimoto, anche in corso di terapia con tiroxina per la cura dell’ipotiroidismo.

Per quanto riguarda la popolazione pediatrica affetta da tireopatia come ipotiroidismo congenito, o acquisito e ipertiroidismo, i dati ad ora disponibili sono rassicuranti. Non emerge infatti un maggior rischio di contrarre l’infezione da Sars-Cov2, inoltre questi pazienti non sembra possano avere una prognosi peggiore in caso di infezione. Se, tuttavia, la funzionalità tiroidea è scompensata, soprattutto in caso di ipertiroidismo, in caso di infezione da Sars-Cov2, si possono osservare maggiori complicanze. Per questo motivo, in tutti i centri di endocrinologia pediatrica, è stato fatto un grande sforzo per garantire la continuità assistenziale con visite periodiche programmate e con l’attivazione di modalità alternative (consulenze telefoniche, video-consulenze e servizi di telemedicina). Lo screening dell’ipotiroidismo congenito non ha subito interruzioni o ritardi, così come la cura dei neonati affetti da questa patologia.

Nei pazienti anziani e soprattutto negli ultraottantenni, la malattia da COVID-19 si è rivelata particolarmente aggressiva e con elevata mortalità.

La polmonite da COVID-19 si associa ad un quadro di alterata risposta immunitaria, che determina la liberazione massiva nel sangue di citochine infiammatorie, responsabili a loro volta di alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide con insorgenza della cosiddetta sindrome del malato eutiroideo, o sindrome con bassa T3. Dati preliminari ottenuti da un Registro Nazionale elaborato sotto l’egida della SIGG, documentano una prevalenza particolarmente elevata della sindrome del malato eutiroideo (superiore al 50%), nei pazienti anziani ricoverati. La comparsa di questo quadro, pur rappresentando una difesa dell’organismo in caso di malattie gravi, ha un valore prognostico negativo, perché si associa ad una maggiore mortalità.

Sono numerose le voci che stigmatizzano i danni causati dal protratto periodo pandemico, che ha ridotto il ricorso, da parte dei pazienti, ai programmi di prevenzione e ai controlli periodici, riguardo alle patologie tiroidee benigne ed anche maligne. La paura di ‘andare in ospedale’ per visite ed esami ambulatoriali, il contingentamento degli appuntamenti e, in molti casi, la temporanea sospensione dei servizi, o la trasformazione dei reparti per ‘ricoveri COVID’, ha causato ritardi diagnostici e allungamento dei tempi per effettuare interventi di tiroidectomia, spesso necessari. Il rischio, in caso di noduli tiroidei tumorali, è di un aumento delle dimensioni, che può peggiorare il successivo decorso, ma anche può rendere impossibile il ricorso alla chirurgia tiroidea mininvasiva e più conservativa, con ulteriori conseguenze post-operatorie ed estetiche, talvolta importanti. La nuova sfida è quindi ‘recuperare il tempo perduto’ intensificando l’attività dei centri di chirurgia endocrina.

La Medicina Nucleare interviene nelle malattie della tiroide non solo per la diagnosi, ma, soprattutto, per la terapia con iodio radioattivo dell’ipertiroidismo e dei tumori della tiroide, una volta trattati chirurgicamente. Nel corso della pandemia si è verificata una riduzione di tutte le prestazioni di Medicina Nucleare: il 19% circa di questa perdita riguarda prestazioni terapeutiche, la riduzione di oltre il 50% dei casi ha riguardato la terapia con iodio radioattivo per il carcinoma della tiroide. Questo è dipeso sia dalla riduzione degli interventi chirurgici sulla tiroide, sia dalla possibilità di posticipare di qualche mese la terapia con iodio radioattivo nei casi di carcinoma differenziato della tiroide a basso rischio. Contestualmente, i Centri di Medicina Nucleare hanno innalzato i livelli di protezione e isolamento dei pazienti per evitare che chi avesse assunto lo iodio radioattivo a scopo terapeutico fosse infettato dal virus.

La qualità della relazione e della comunicazione tra medico e paziente è un fattore di grande importanza durante il percorso diagnostico e terapeutico ed anche per il buon esito della cura. I pazienti presentano bisogni di contatto, di relazione e di dialogo e i curanti, sotto il pesante carico lavorativo imposto dalla pandemia, non sempre hanno avuto le risorse e il tempo per rispondere a questi bisogni. Indubbiamente, come evidenziato da più parti e per i motivi già ricordati, le cure hanno subito un rallentamento a causa della pandemia da COVID-19. Nel contempo, le liste di attesa si sono notevolmente allungate a causa del carico di lavoro delle strutture ospedaliere. L’attenzione a tutte le patologie, in particolare a quelle oncologiche, deve tornare al centro dell’agenda di Governo, dal momento che gli ultimi dati paventano il rischio che nei prossimi anni la mortalità dei pazienti colpiti da tumore aumenti del 20% circa in conseguenza della pandemia.In Italia l’andamento dell’epidemia non consente ancora di organizzare le consuete iniziative locali di prevenzione e informazione. Attività di informazione e sensibilizzazione verranno quindi veicolate attraverso la pagina Facebook dedicata “Settimana Mondiale della Tiroide” e il sito www.settimanamondialedellatiroide.it.

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