Non ci piacciono i luoghi comuni sull’8 Marzo, compreso quello più diffuso, che sia una “festa”. Logicamente, non lo è.
Non ci piace l’opinione corrente, che l’8 Marzo, con i suoi pensieri sulle donne, non debba essere solo oggi, ma tutto l’anno. E’ talmente scontato, che dirlo è molto banale. Crederlo intimamente, spontaneamente è un’altra cosa.
A noi piace pensare alla vera vita delle donne, soprattutto quelle sconosciute che ci stanno a fianco oggi e delle quali diamo per scontato i giochi di prestigio che fanno ogni giorno, insieme ai loro uomini. E ci piace molto la vera vita delle donne vissute in passato, ancor più sconosciute oggi, che nel loro tempo sono state protagoniste e fautrici di imprese magari in apparenza piccole e simboliche perché relative “solo” alle singole esistenze, magari, invece, con la mentalità ed i mezzi di allora, quelle imprese hanno avuto un impatto significativamente esplosivo, per le conseguenze successive.
Di alcune di queste Donne, trovate tra molte altre, indichiamo solo la data di nascita.
Vittorina Sambri, 1891
Ettorina, detta Vittorina. Oppure Vittorio, come si chiedevano i centauri del tempo? Gli uomini “non capivano come una donna potesse andare più forte di loro”. Corre inizialmente in bicicletta, partecipando a “corse su pista per signorine”, a Ferrara e dintorni, ma anche a Parigi.
Desta una grande curiosità, perché ha un aspetto efebico, preferisce frequentazioni femminili e per di più è una grande fumatrice. E poi, cavalca la sua “macchina” indossando una gonna pantalone, si direbbe oggi, con una maglietta. Una mise che è decisamente lontana dall’abbigliamento delle signorine dell’epoca e che, insieme alle sue attitudini, le vale l’ostilità della famiglia. Smessa la bici, si dedica ai motori, seguendo i corridori professionisti in giro per l’Italia.
Al Premio Ferrara arriva seconda, per ben due volte. Nonostante l’ammirazione dei quotidiani, i colleghi maschi non prendono sul serio l’“intrepida donna” ed il pilota rivale Antoniazzi accetta la sfida di Vittorina, “illudendosi di rimandare a far la calza in due e due quattro, quell’impertinente che non” vuole “stare al suo posto”. All’ippodromo di Faenza, Antoniazzi, nell’agosto 1913, dopo che una sua scorrettezza ha fatto sospendere e poi riprendere la gara, perde, o meglio: Vittorina Sambri vince, ed “è vivamente applaudita”. Seguono per lei nel 1914, nella classe 350, un secondo posto tenendo testa al grande Miro Maffei, al quale ha conteso la vittoria fino all’ultimo giro. Poi, nel 1920 corre con una Borgo 500 monocilindrica, che raggiunge la velocità massima di 95 Km all’ora.
La prima donna campione di motociclismo in Italia, dopo la fine della carriera, ha gestito la concessionaria della moto Guzzi a Ferrara, ma ancora oggi nella sua città, per le scelte che ha fatto, in pochi conoscono le sue gesta sulle due ruote.
Lidia Poët, 1855
Prima donna a laurearsi in Legge, in Italia, iscritta all’Albo degli Avvocati e Procuratori Legali. L’iscrizione fu però revocata dalla Corte d’Appello di Torino e poi dalla Cassazione, con due motivazioni, correlate al cosiddetto “diritto comune e legge naturale”: 1) A causa del ciclo mestruale, per almeno una settimana al mese, le donne non hanno la giusta serenità di giudizio; 2) Non avendo parità di diritti rispetto agli uomini, esercitare l’avvocatura nel 1883 può ledere i clienti, in quanto supportati da chi non ha tutte le facoltà giuridiche (Le donne non potevano essere testimoni nei processi dello Stato Civile o per un testamento ed erano sottoposte al marito, che andava seguito in ogni suo minimo spostamento). Solo nel 1920, a 65 anni, l’Avv. Lidia Poët fu iscritta all’Albo degli Avvocati di Torino.
Maria Messina, 1887
Isolata nella provincia siciliana, nell’impossibilità di seguire gli studi nonostante le risorse della famiglia, in reclusione domestica, affetta da sclerosi multipla, vive i luoghi extra-domestici degli uomini attraverso il padre ed il fratello, che le fanno conoscere il mondo esterno e la letteratura. Si ispira a Verga, con cui è in corrispondenza per diverso tempo. Vive la vita senza viverla, è consapevole che le donne sono diverse nella famiglia patriarcale siciliana, che nega ogni riconoscimento al di fuori dell’autorità maritale e che pretende l’obbedienza cieca. Scrive dell’impossibilità, per la donna, di esistere pienamente.
Marchesa Colombi, 1846
Maria Antonietta Torriani, ricorse allo pseudonimo di Marchesa Colombi e con questo guadagnò prestigio, successo ed autorevolezza, come prolifica autrice e scrittrice di successo, ma anche come maestra indiscussa di buone maniere. Pioniera assoluta del bon ton, con ben diciotto edizioni in 15 anni (dal 1877 al 1892), scrisse un vero e proprio manuale dell’educazione (“Gente per Bene: leggi di convenienza sociale”), dedicato in particolare al ceto medio, all’insegna del proclama “Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani”. La “Marchesa Colombi” fu antesignana anche privatamente, separandosi con coraggio, dopo solo alcuni anni di matrimonio, dal marito: un certo Eugenio Torelli Viollier, nientemeno che il fondatore del Corriere della Sera.
Carolina Invernizio, 1851
Detiene forse tuttora almeno due primati: essere la più fertile scrittrice italiana (130 titoli pubblicati) ed aver raccolto le peggiori recensioni. Antonio Gramsci così pensava di lei: “onesta gallina della letteratura italiana”. Bruno Cassinelli, famoso penalista, la definì “conigliesca creatrice di mondi” e Gian Pietro Lucini (“Pieter Lucini”, critico letterario) l’accusò di essere un’ ”impudente scombiccheratrice di carte”. Carolina Invernizio, credendo fermamente che il suo romanzo molto popolare, drammatico, romantico, sentimentale e noir avesse in qualche modo uno scopo educativo pedagogico, si consolava con fine umorismo, replicando ai suoi critici feroci con un dato di fatto: tra le sue “appassionate lettrici ed amiche sono appunto le loro mogli, le loro sorelle”. Del resto, Giovanni Papini, che certamente non era tenero in quanto a critica letteraria, un dubbio lo manifestò: “una fortuna così lunga e vasta non può essere senza ragioni”.
Anna Franchi, 1867
Giornalista in prima linea, si direbbe oggi. Romanziera e battagliera. Proviene da un ambiente famigliare di tradizioni mazziniane, sposa il suo maestro di musica che la tradisce e sperpera tutto il loro denaro. Lo lascia, nonostante quattro bambini ed un mare di debiti che non riesce e saldare in virtù del codice civile vigente, che impone alle donne sposate l’autorizzazione del marito per amministrare e vendere i propri beni. Per questa situazione si convince con forza che in Italia vada introdotto il divorzio. Diventa un’attiva promotrice a favore della causa divorzista, scrivendo un libro denuncia sulla sua condizione, “Avanti il divorzio”, che suscita scandalo, tanto da essere sigillato e legato da un nastro bianco. Come giornalista professionista, è seconda solo ad Anna Kuliscioff nel far parte dell’Associazione Giornalisti. Si impegna molto nella campagna a favore del suffragio politico alle donne, fonda la Lega di assistenza tra le madri dei caduti, a supporto delle donne indigenti senza mezzi di sostegno e con l’avvento del fascismo, lascia la politica, per dedicarsi alla letteratura. Nel 1946, quando anche per le donne votare è un diritto, scrive “Cose d’ieri dette alle donne di oggi”, per richiamare quanto fatto con il grande impegno degli anni precedenti, a favore di risultati finalmente concreti.
Rosina Ferrario, 1888
Ha diverse passioni, fin da giovane: la montagna, il ciclismo e l’aviazione. Frequenta i campi-scuola di volo e la Scuola d’Aviazione, tra Taliedo e Milano. Tenta un primo decollo nel 1912, che fallisce: il velivolo, dopo un’impennata piomba a terra e viene distrutto, ma la giovane aviatrice, incolume, non demorde. Si ferma provvisoriamente “solo” per un braccio fratturato, a seguito della caduta dalla bicicletta. Nel 1913 ottiene il brevetto, ricevendo congratulazioni da tutta Italia. Il Maggiore Carlo Piazza, che per primo nel 1911 aveva impiegato un aereo in Libia per missioni di guerra, le scrive “Tutte le mie più vive congratulazioni, signorina, ma preferirei saperla più mamma che aviatrice!”. Il mondo dell’aviazione è entusiasta di avere una collega, che è molto attiva e partecipa a diversi raduni aerei, anche spettacolari, come quello a Napoli, dove in omaggio alla città lancia dal cielo garofani rossi. Nel 1914, tra i primi, Rosina Ferrario collauda il monoplano Gabardini (“La Gabarda”) ed all’entrata in guerra nel 1915, si offre come crocerossina aerea, per trasportare dal fronte i feriti destinati alle retrovie. Il Ministero della Guerra, però, a tanto entusiasmo risponde seccamente che “Non è previsto l’arruolamento di signorine nel Regio Esercito”. Dopo il matrimonio a 33 anni, la prima donna volante italiana lascia il volo e si occupa con il marito dell’Hotel Italia a Milano.
Italia Donati, 1863
Una brutta storia di grande miseria, sociale e mentale, quella della “povera, infelice Ilaria Donati, maestra sventurata”, secondo quanto diceva di sé stessa l’interessata, una delle moltissime maestre rurali, costrette dalla miseria ad accettare un insegnamento in aree remote.
Dopo l’Unità d’Italia, la legislazione scolastica (Legge Casati) disponeva che i Comuni avessero competenze sulla scuola elementare e sui maestri, che nella pratica rimanevano sotto il giogo dell’amministrazione locale, che aveva facoltà di licenziare in tronco e di pagare stipendi inferiori ai minimi legali. Le donne, inoltre, avevano decurtata di un terzo la propria paga, rispetto ai maestri ed erano in grande maggioranza, a causa delle scarse disponibilità economiche delle casse comunali. Discriminazioni, abusi, situazioni ricattatorie ed illeciti erano estremamente frequenti, ai danni delle maestre rurali e ponevano le donne al livello più basso nella gerarchia scolastica.
Il primo cittadino di Porciano sottopone Italia Donati ad una corte pesante e le impone di abitare vicino a lui. A seguito dell’accusa di avere abortito e del ricorso al Procuratore del Re, senza buon esito, le autorità del Comune indicono un’inchiesta, che si conclude con un documento ufficiale chiaramente in difesa della maestra, che cambia casa. Questo attizza nuove maldicenze ed Italia Donati si trova nuovamente accusata non solo di essere l’amante del figlio del proprietario della sua nuova abitazione, ma anche di essere incinta di lui. Viene trasferita in un altro Comune, che però si rifiuta di ospitare l’“avanzo” di Porciano. Distrutta, Italia mette per iscritto le sue volontà. Lascia a disposizione del Tribunale il suo corpo per l’autopsia e vuol far partecipare al suo funerale solo bambini e bambine, compresi i suoi alunni. Va a suicidarsi ed il suo corpo dimostrerà la sua innocenza. Il primo funerale, con sepoltura nell’odiato paese per l’indigenza della famiglia, passa quasi inosservato. Ma il corpo viene riesumato e nel suo paese natale le esequie vengono seguite da “un immenso concorso di popolo, senza distinzione di classe, di grado, di condizione. […] Un’intera vallata, cinquanta o sessanta paesi in movimento, ventimila persone -più che meno- che durante il lungo percorso di dieci o dodici miglia s’accalcano a veder passare il corteo, s’arrampicano per le rupi, in cima agli alberi, si spargono tra i campi di grano turco e di frumento, e depongono sul carro funebre – che fino al confine lucchese andò sempre di corsa – ghirlande, trofei di fiori, nastri ricamati”. Così scrisse il redattore viaggiante del Corriere della Sera, Carlo Paladini. Correva l’anno 1886 e solo nel 1911 la scuola elementare entrò a far parte delle competenze dello Stato. Tra le due date, un lunghissimo dibattito, dopo la tragedia di Italia Donati.