L’Auditorium “Cosimo Piccinno” del Ministero della Salute ha ospitato il primo di tre incontri sull’infezione da HIV, il virus da immunodeficienza acquisita, nel paziente con malattie croniche.
Un evento che in modo pragmatico ed incisivo si è posto l’obiettivo di tornare a parlare di HIV alla nuova generazione di “millennials”, che ignora troppe cose della malattia ed anche dei comportamenti a rischio.
Protagonisti di questo incontro sono stati due tavoli di lavoro: quello sociale e quello clinico.
Il primo è stato composto dai Senatori Pierpaolo Sileri (Viceministro della Salute), Paola Binetti, Maria Domenica Castellone, Michelina Lunesu, Gaspare Marinello (Membri XII Commissione Igiene e Sanità del Senato).
Al tavolo clinico hanno partecipato i Professori Massimo Galli (Presidente Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT; Università degli Studi di Milano), Andrea Antinori (Ospedale Lazzaro Spallanzani, Roma), Adriano Lazzarin (Ospedale San Raffaele, Milano), oltre che il Dott. Massimo Scaccabarozzi, Presidente Farmindustria ed Amministratore Delegato di Janssen.
Negli ultimi 7 anni, le nuove diagnosi, per numero, sono abbastanza stabili e per tipologia consistono soprattutto in infezioni a trasmissione sessuale, di tipo sia eterosessuale, che omosessuale. Oltre il 50% delle nuove diagnosi avviene in condizioni avanzate di malattia, cioè quando il livello di linfociti CD4 è al di sotto delle 350 cellule/mmc, o addirittura alla comparsa di sintomi o segni clinici correlati alla patologia conclamata.
Si stima che in Italia i soggetti con HIV ignari di avere il virus siano 15.000, un numero considerevole di persone che ritarda inconsapevolmente la diagnosi, non sottoponendosi al test HIV.
La diagnosi precoce consente di trattare meglio l’infezione, più rapidamente ed in modo più efficace. Chi inizia la terapia, nel momento in cui raggiunge la soppressione completa del virus, non è più contagioso e non trasmette più l’infezione. La diagnosi tardiva rappresenta, invece, un rilevante problema di sanità pubblica, perché queste persone possono non soltanto ammalarsi più facilmente, ma anche trasmettere l’infezione ad altri, divenendo l’unico serbatoio potenziale di diffusione dell’infezione.
Ai fini della prevenzione, va tenuto conto che i giovani, compreso chi appartiene alle cosiddette popolazioni chiave, dove il rischio di infettarsi è maggiore, come i giovani maschi che fanno sesso con maschi (MSM), hanno poca o nessuna esperienza di malattia, ne’ propria, ne’ altrui.
Costoro, che non hanno assistito alla malattia negli anni passati funestati da migliaia di decessi, hanno una percezione molto bassa della gravità potenziale dell’HIV e, comunque, se anche ne fossero informati tramite forum via web, questi canali non rappresentano sempre un freno ai comportamenti a rischio. Anche questo aspetto, cioè la sensibilizzazione dei giovani, rispetto ai comportamenti a rischio, rappresenta un punto cruciale di un’informazione adeguata sulla prevenzione dell’HIV.
La storia del vaccino
Negli anni passati, gli studi clinici condotti per realizzare un vaccino in grado di tenere a bada la diffusione della malattia, rendendo immuni i pazienti a rischio, non hanno conseguito risultati soddisfacenti. L’eccezionale mutagenesi del virus e la grande capacità di eludere i meccanismi di controllo immunologico da parte dell’ospite, hanno vanificato le notevoli risorse dedicate allo sviluppo di un vaccino preventivo contro l’ HIV, da parte dei principali centri di ricerca internazionali (si vedano i risultati della vaccinazione con ALVAC ed AIDSVAX per prevenire l’infezione da HIV in Thailandia, pubblicati nel 2009 sul NEJM: l’efficacia del vaccino è risultata del 31.2%, rispetto al limite del 60% che avrebbe reso convincente un programma vaccinale).
Lo studio Mosaico
Mosaico è uno studio clinico interventistico internazionale, che prevede l’arruolamento di 3.800 persone, in circa 55 centri in otto Paesi distribuiti in tre continenti. L’inizio dello studio è previsto negli Stati Uniti in queste settimane e, previa approvazione da parte delle autorità competenti locali, potrà avere luogo anche in Argentina, Brasile, Italia, Messico, Perù, Polonia, Spagna. Questo studio è condotto da Janssen in partnership, a livello globale, con il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), l’HIV Vaccine Trials Network (HVTN) all’interno del Fred Hutchinson Cancer Research Center e la U.S. Army Medical Research and Development Command (USAMRDC), che, con uno sforzo congiunto, lavorano per far avanzare il progresso scientifico, affinché sia possibile rendere disponibile un vaccino preventivo nei confronti dell’HIV.
L’obiettivo è quello di studiare un regime vaccinale che preveda quattro somministrazioni nell’arco temporale di un anno.
Un vaccino contro l’infezione da HIV potrebbe contribuire a porre fine all’epidemia entro il 2030, come auspicato dalle Nazioni Unite tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile adottati all’unanimità dagli Stati Membri nel 2015. Per vincere questa sfida, è auspicata una sempre maggiore collaborazione a livello eco-sistemico, con le Associazioni Pazienti, le Istituzioni e le Società Scientifiche.