Oltre 400 milioni di persone sono affette da diabete mellito nel mondo, che entro il 2040 si prevede affliggerà più di 600 milioni di pazienti. (IDF Diabetes Atlas, 2017).
In Italia (Osservatorio ARNO Diabete, Rapporto 2017), la prevalenza della malattia diabetica è del 6,34%, pari a circa 640.000 malati ed in termini di progressione “epidemiologica” la tendenza è verso una diffusione molto allarmante, soprattutto (ma non in via esclusiva), per i soggetti tra i 50 e gli 80 anni ed oltre.
Al diabete sono correlate numerose complicanze multiorgano, che rappresentano non solo un aggravamento della malattia con pesanti conseguenze cliniche ed economiche, ma sono anche causa di morte dei pazienti.
Tra queste, è altamente invalidante la malattia renale cronica, che nel nostro Paese colpisce più di 3 milioni di persone bisognose di terapia renale sostitutiva, che entro il 2030 aumenteranno ad oltre 5 milioni. La malattia renale cronica, grave per se, si correla inoltre con un aumentato rischio cardiovascolare.
Si tratta di pazienti che in assoluto possono sembrare pochi, ma la loro condizione grava pesantemente in termini economici sul SSN, per le cure e soprattutto per l’assistenza ospedaliera che richiedono.
Canagliflozin è un inibitore del co-trasportatore di glucosio-sodio di tipo 2 (SGLT-2), in grado di inibire il riassorbimento del glucosio nel rene per inibizione della proteina di trasporto, riducendo la glicemia e trovando ampio impiego nel trattamento del diabete mellito di tipo 2.
Lo studio CREDENCE (Canagliflozin and Renal Events in Diabetes with Established Nephropathy Clinical Evaluation) è il primo trial clinico di fase III su un inibitore del co-trasportatore di glucosio-sodio 2 (SGLT-2), il canagliflozin, avente lo scopo di valutare gli outcome renali e cardiovascolari in pazienti con diabete mellito di tipo 2 ed elevato rischio di progressione della patologia renale cronica.
Lo studio, condotto confrontando canagliflozin (100 mg/die per os) in doppio cieco verso placebo, è stato interrotto in anticipo (a 2,62 anni di follow up), per evidente superiorità del trattamento attivo, rispetto al controllo, nei confronti degli indicatori di malattia renale terminale (es. dialisi, trapianto renale, ecc…), che hanno rappresentato l’outcome primario. Canagliflozin ha inoltre ottenuto la riduzione del rischio di decesso per cause cardiovascolari, di infarto del miocardio, o di stroke e migliorato la funzionalità cardiaca, realizzando una “protezione multiorgano”, a fronte di un profilo di sicurezza ottimale.
Donatella Tedeschi